Steve Bannon ci è naturalmente simpatico, ed abbiamo un consolidato rapporto epistolare con lui e l'importante rivista americana controcorrente Breitbart News, da oltre tre anni, e siamo già in contatto con i rappresentanti della sua fondazione politica denominata The Moviment. Ma è assolutamente chiaro ed evidente che al giornalista liberale conseravore filo sionista americano preferiamo, di gran lunga, il filosofo tradizionalista russo ortodosso pro eurasia, Alexandr Dugin. Di seguito, in tal senso, vi consigliamo di leggere l'articolo chiarificatore del'amico giornalista (esperto di storia e geopolitica) Aldo Braccio, storico collaboratore della rivista Eurasia. E' importante che Matteo Savini e Giorgia Meloni collaborino con lui, ed ascoltino i suoi preziosi consigli, sopratutto in materia di comunicazione ed utilizzo del potenziale web e social, ma ben sapendo chi è e quali poteri ed interessi USA (e non solo) rappresenta, spesso in oggettivo conflitto con quelli del nostro popolo e della nostra nazione.
GLI USA CONTRO L’EURASIA: IL CASO BANNON
Di Aldo Braccio - 20 settembre 2018
Gratificato di una copertina del Time che lo presentava (febbraio 2017) con
l’ambiguo attributo di The Great Manipulator, Stephen (Steve) Bannon riscuote
molto interesse non solo nei mezzi di informazione ma anche in movimenti
politici e intellettuali europei che lo considerano come portatore a più
livelli di un progetto alternativo a una visione politica ingessata e
politicamente corretta.
Si potrebbe in realtà dire che l’emergere in molti Paesi europei
di una forte reazione popolare (il cosiddetto populismo) contro la fallimentare
politica dell’Unione Europea in tema di economia e di flussi immigratori ha
determinato l’esigenza statunitense di controllare e possibilmente gestire il
fenomeno. Così, da un punto di vista geopolitico, prevedere un possibile
cambiamento europeo nella sua classe politica impone agli Stati Uniti di
prendere posizione riconducendo – o meglio confermando – il ruolo del Vecchio
Continente all’interno dell’Occidente e della Globalizzazione a guida
nordamericana.
The Movement e Bannon sono pienamente inseriti in questa cornice
e non si comprenderebbe davvero come Europei alla ricerca di sovranità possano
affidarsi a un ideologo che riafferma la supremazia americana e detta le linee
di politica internazionale ispirandosi al trito e ritrito conflitto di civiltà.
L’intervento di Bannon al convegno dell’Istituto Dignitatis
humanae (legato al cardinale statunitense Raymond Burke) realizzato in Vaticano
nell’estate 2014 (intervento riportato da Mario Mancini in La visione degli
alt-right secondo Steve Bannon), è fin dall’inizio inequivocabile circa i
riferimenti culturali e storici di Bannon: dopo l’omaggio all’”eroismo dei
popoli liberi”, ai “giovani di Kansas City o del Midwest che presero d’assalto
le spiagge della Normandia” e ai “commando che nella battaglia d’Inghilterra
vestivano la divisa della Royal Air Force”, seguono infatti:
– l’elogio al “capitalismo illuminato che ci ha dato realmente i
mezzi per combattere e vincere. E’ come se il capitalismo avesse organizzato e
costruito i materiali necessari per sostenere l’Unione Sovietica,
l’Inghilterra, gli Stati Uniti e alla fine per riprendersi l’Europa
continentale dal nazismo e per respingere un impero barbarico (sic) in Estremo
Oriente”;
– l’attestazione che “il capitalismo ha generato davvero un
enorme benessere. E quel benessere è stato distribuito fra la classe media e
quelle famiglie che provenivano da ambienti della classe operaia. Tutto questo
ha creato quella che chiamiamo la pax americana …”.
L’Occidente, secondo Bannon – intendendosi con ciò precisamente
l’alleanza Stati Uniti/Europa – deve rifondarsi su una rinnovata e consolidata
struttura a tre pilastri: il capitalismo appunto, il nazionalismo e i valori
giudaico-cristiani; il primo deve liberarsi dagli eccessi introdotti dal
“partito di Davos” (l’èlite finanziaria), il secondo garantirà una pluralità di
soggetti e identità, mentre i valori giudaico-cristiani devono costituire il
fondamento dell’Occidente, le sue radici.
Luigi Copertino ha compiuto un’accurata disanima delle
concezioni teologiche di Bannon (cfr. https://www.maurizioblondet.it/proposito-del-bannon-pensie…/)
sottolineando come esse rappresentino una datata ripetizione di quella
“teologia del capitalismo” (una contro-teologia, in realtà) formulata da
cattoconservatori quali Novak, Weigel e Neuhaus. Restiamo perciò in
quell’ambito neocon e cristianosionista che non può essere confuso con il
cattolicesimo tradizionale, rappresentandone una degenerazione.
Come osserva Copertino, ad esempio, i valori
“giudaico-cristiani” che Bannon associa al capitalismo illuminato dell’inizio
Novecento devono essere ben diversi da quelli sostenuti con coraggio da Papa
Leone XIII nella sua Rerum novarum cupiditas, che già nel 1891 sanciva: “doveri
dei capitalisti e dei padroni sono non tenere gli operai schiavi, rispettare in
essi la dignità della persona umana”; sono semmai quelli di certa etica
protestante che nella nascita e affermazione del capitalismo industriale prima
e finanziario poi hanno svolto un ruolo importante e forse decisivo(non a caso
Bannon preferisce parlare genericamente di cristianesimo senza distinguere al
suo interno fra cattolicesimo, ortodossia e correnti protestanti).
Ma è nella proposta geopolitica che gli scenari delineati da
Bannon confermano e anzi radicalizzano la politica statunitense, a difesa dell’Occidente
e contro la sovranità e gli interessi reali dell’Europa: il nemico additato è
infatti – nella reiterata e folle prospettiva dello “scontro di civiltà” –
l’Islam (talvolta etichettato come fascismo islamico, contro cui “la guerra è
cominciata”).
In alcuni interventi Bannon sembra propendere all’Islam nella
sua generalità e interezza, in altri nella sua accezione “radicale”; cosa
significhi radicale lo si capisce meglio dai Paesi che Bannon mette nel mirino:
Turchia e Iran, considerati i peggiori “regimi” e i più pericolosi fra i Paesi
islamici, cui si accompagna nella graduatoria dei nemici assoluti la Cina.
Bannon si scaglia con veemenza contro questo asse della Via
della Seta “che unisce queste tre nazioni, frutto di civiltà antiche e
combattive, tutte estranee alle cultura giudeocristiana“: “I veri nemici sono a
Pechino, Teheran ed Ankara e ci stanno aggredendo nel Mar della Cina, nel Golfo
e nel Mediterraneo”.
Nei confronti della Russia, invece, deve sostanzialmente
funzionare una strategia di neutralizzazione attraverso la sua integrazione
nello schieramento occidentale; rispetto all’attuale politica aggressiva e
minacciosa promossa dal governo statunitense (sanzioni, continui attacchi
mediatici, potenziamento militare ai confini della Russia, sfida in Ucraina e
in Siria) la strategia consigliata da Bannon è diversa, in vista però dello
stesso risultato: l’eliminazione della Russia come soggetto autonomo e sovrano
in grado di interferire con la supremazia statunitense.
Un obiettivo che fortunatamente non sarà facile da raggiungere,
così come il rilancio di un disastroso scontro di civiltà che annienti le
“civiltà antiche e combattive”.
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